Il blocco nero del Primo maggio triestino

10 febbraio 2014, il sen. Russo (PD), alle sue spalle i veri “italiani di Trieste” Menia e Rosolen, di fronte a loro i vessilli della Decima MAS

L’agghiacciante polemica contro i simboli partigiani nel corteo

Trieste il Primo maggio di quest’anno non festeggiava solo la festa dei lavoratori, ma anche un’importante ricorrenza storica: il settantesimo anniversario della cacciata delle truppe naziste dalla città.
A qualcuno il ricordo di questa vicenda, che dovrebbe essere patrimonio condiviso e intangibile della storia collettiva, non è mai piaciuto; fascisti e post-fascisti, ma anche nostalgici del Reich, magari camuffati da placidi ammiratori di monarchi asburgici, non hanno mai digerito che quel corteo rappresentasse anche un’occasione di festa e ritrovo per la Trieste antifascista e antirazzista, ancor più della celebrazione del 25 aprile.
Stavolta, a fronte di una bella manifestazione, affollata, combattiva e, malgrado tutto, allegra più del solito, terminato il corteo costoro sono riusciti a lanciare una gara vergognosa a demolire il senso profondo della giornata, umiliando chi vi ha partecipato. E trovando troppi volenterosi concorrenti.
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Un fatto è un fatto, è un fatto. Un falso è un falso, è un fatto.

foibe

Raccolgo l’invito della Wu Ming Foundation a far circolare ovunque questa ormai celebre foto corredata da una didascalia che la colloca nel suo esatto contesto storico.

I nomi dei cinque civili sloveni fucilati di cui vogliamo che in questo modo venga preservata la memoria sono:

Franc Žnidaršič

Janez Kranjc

Franc Škerbec

Feliks Žnidaršič

Edvard Škerbec

La foto fa parte di una sequenza più ampia che trovate qui.

Qui è possibile consultare un dossier sulle manipolazioni subite negli anni da questa foto

Per fortuna non tutte le voci della stampa mainstream sono Bruno Vespa. Michele Smargiassi, giornalista di Repubblica e studioso di fotografia, ha parlato di questa vicenda in un articolo dal titolo azzeccatissimo.

Infine consiglio vivamente a chiunque la lettura dell’indispensabile post di Lorenzo Filipaz #Foibe o #Esodo? «Frequently Asked Questions» per il #GiornodelRicordo, dalle cui risposte alle domande più comuni sui temi delle foibe e dell’esodo dall’Istria è possibile poi seguire le molte diramazioni che permettono di avvicinarsi a quell’oggetto tanto oscuro quanto contraddittorio chiamato “verità”. A condizione ovviamente di affrontare il verminaio delle manipolazioni di cui questa foto è solo un piccolo esempio.

Ritengo irrinunciabile impegnarsi in gesti di questo tipo che, oltre a un valore simbolico innegabile, hanno soprattutto uno scopo immediato e molto materiale: contrastare l’avanzata della disinformazione e dell’ignoranza di massa che la diffusione di internet, in alcuni casi, sembra paradossalmente alimentare anziché ridurre. Il problema sono le manipolazioni ma anche la nostra stessa pigrizia, quella che ci fa cadere in semplificazioni e madornali errori di valutazione, il modo in cui usiamo i social network o tendiamo a credere che una notizia sia verificata solo perché “lo hanno detto alla televisione”.

Ecco, qui non c’è possibilità di sbagliare, se diffonderemo in ogni modo questa foto e la sua didascalia: l’episodio ritratto *NON* è una strage di italiani, ma una strage di civili compiuta da soldati italiani. E’ un fatto.

Chi sparò al Giro d’Italia? Una storia rosa e nera

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Il racconto che potete scaricare in vari formati da questa pagina è un lavoro di finzione, con personaggi e situazioni inventate che seguono una trama frutto della fantasia di chi l’ha scritto. È però anche la drammatizzazione di fatti storici realmente accaduti poco meno di settanta anni fa, drammatizzazione che illumina i coni d’ombra dei resoconti fin qui disponibili di quei fatti.

Scarica Chi sparò al Giro d’Italia?
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L’internazionale del canestro

Lenin for threeQuando lo incontro dall’ultima volta saranno passati vent’anni. Sono stato io a chiamarlo, al telefono mi riconosce subito e mi dà appuntamento per la mattina dopo, al bar del centro commerciale di fronte a casa sua. «Là fa fresco», dice, «alla mia età l’aria condizionata non mi dispiace mica». Rione di Ponziana, Trieste. Il suo quartiere, e in fondo anche il mio. È l’agosto del 2006. Dopo questa conversazione non lo vedrò più, se ne andrà cinque anni dopo, accompagnato dai consueti coccodrilli sui giornali locali, e dall’omaggio del suo allievo di maggior successo.
“Addio a Tullio Micol, il maestro che scoprì la «Mosca Atomica»”
Gianmarco Pozzecco credo lo abbia nominato in ogni intervista concessa da quindici anni a questa parte.
Lui non l’ho cercato per caso, neanche per nostalgia. Sono una bestia in queste cose, devo trovare un motivo, malgrado il caso o la nostalgia, per rompere la barriera della mia timidezza.
Di motivi ne ho almeno tre, e benché abbiano a che vedere con la conoscenza e la Storia, è chiaro che parlano di basket: gli inizi della pallacanestro a Trieste, una vicenda cestistica di famiglia nel dopoguerra, e una questione tecnica e filosofica che mi assilla, un dettaglio che ha cambiato la fisionomia dello sport che amo.

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